IL VESCOVO E ZAIA
UMBERTO CURI CORRIERE DEl VENETO 3 DIC. 2015
Allibiti. Non vi è altro termine per indicare quale reazione suscitino
le prese di posizione degli esponenti della Lega, a proposito delle
dichiarazioni del vescovo di Padova, monsignor Cipolla. Lasciamo
pure da parte quanto ha affermato Nicola Finco, capogruppo del
Carroccio in Consiglio regionale, il quale ha sostenuto che “questi
vescovi vanno cacciati”. Qui siamo al confine fra il codice penale e il
trattamento psichiatrico obbligatorio, sicchè ogni commento è
semplicemente superfluo. Ma la “lettera aperta” inviata al prelato
patavino dal presidente della giunta regionale può solo lasciare allibiti.
Sorvoliamo sullo stile letterario del documento, segno evidente della
necessità di sostituire chi finora è stato incaricato di scrivere testi con la
firma di Zaia. La difficile arrampicata fra congiuntivi e condizionali
appare a tratti perfino penosa. Ma è il contenuto del documento,
sono le argomentazioni (si fa per dire) in esso contenute, che destano
preoccupazione e perfino sgomento. Il succo di quel testo può essere
infatti indicato nei termini seguenti. Secondo il governatore del Veneto,
rinunciare ad allestire il Presepe vorrebbe dire privarsi di un “argine
identitario non soltanto per chi si professa cristiano, ma anche per chi
è laico”. La prima osservazione da fare – peraltro già emersa sulla base
di alcune inequivocabili precisazioni da parte dello stesso Vescovo
– è che Monsignor Cipolla non aveva affatto sostenuto la volontà di
rinunciare alla rappresentazione della Natività, e si era invece limitato a
parlare della disponibilità a rivedere alcune tradizioni, in nome di un
processo di pacificazione. Ma molto più importante è un secondo
ordine di considerazioni. E’ assolutamente vero che il Presepe può essere
considerato un fattore identitario. Anzi, sarebbe auspicabile che l’identità
che esso evoca non comparisse solo in prossimità di una singola data, ma
scandisse regolarmente la vita dei cittadini, quale che sia la loro posizione
rispetto alla fede. Salvo che l’identità di cui esso è simbolo rinvia ad alcuni
alori di fondo, ai quali non si direbbe siano particolarmente sensibili Zaia
e i suoi colleghi di partito. Il Presepe vuol dire anzitutto solidarietà con gli
altri esseri umani, senza distinzioni di culture e di colore della pelle, di
appartenenze etniche o di lingua, e senza pregiudiziali religiose. Vuol dire
impegnarsi concretamente in favore dei più deboli e dei più svantaggiati.
Vuol dire soprattutto lavorare per la pace fra i popoli e gli individui,
rimuovendo attivamente gli ostacoli che possono impedire o rallentare
il processo della pace e dell’armonia, sul piano interno e sul livello
internazionale. E allora Zaia dovrebbe spiegare come resista
questo “argine identitario” da lui invocato di fronte alle scelte politiche
del partito di cui è dirigente nazionale. Come si concili la politica dei
respingimenti verso i migranti con l’immagine del Presepe. Come possa
convivere ciò di cui è simbolo il Bambino della mangiatoia di Betlemme
con le infuocate dichiarazioni militariste di Matteo Salvini. Come possa
conciliare l’intransigente difesa di coloro che usano le armi per la difesa
personale con il messaggio che viene dalla Natività. Resista, Monsignor
Cipolla. Continui a testimoniare concretamente, con le parole e con i fatti, l
’annuncio di una “buona novella”, mai come ora tradita o fraintesa. Non
ceda alle ingiurie, o alle minacce, di chi si erge a difesa di valori che in realtà
ignora o nei fatti svilisce. Mai come ora, vi è bisogno di un pastore che con
fermezza e saggezza indichi a tutti, credenti o laici, quale sia la strada da
percorrere.